Di pace si parla spesso.
È una parola che riempie discorsi, manifesti, post sui social. Si invoca per i popoli in guerra, per le vittime dei conflitti, per le crisi che scuotono il mondo.
Eppure, nel quotidiano, sembra una parola che abbiamo disimparato a praticare.
Ci indigniamo per ciò che accade lontano, ma raramente ci chiediamo quanta pace costruiamo noi, nelle nostre strade, nei nostri ambienti, nelle nostre relazioni.
Siamo pronti a firmare appelli, a condividere immagini, a partecipare a marce simboliche ma poi, nella vita di ogni giorno, alzare la voce è più facile che tendere la mano.
Guardiamo storto chi non la pensa come noi, discutiamo per appartenenza, etichettiamo, giudichiamo. E a volte si arriva perfino a dire: Io a te non ti saluto, capita e capita tante volte.
Eppure, siamo lì pronti a parlare di pace, a mostrarci più umani, perché in certi contesti fa bella figura.
Ma se la pace non la si applica a chi ci sta vicino, resta solo ipocrisia mascherata da apparenza.
In fondo, guardare gli altri dall’alto verso il basso sembra essere diventato uno sport nazionale, un riflesso di questa società sempre più chiusa e autoreferenziale.
La pace non è solo l’assenza di guerra.
È un esercizio di rispetto, misura e pazienza.
Non si costruisce con i proclami, ma con i piccoli gesti: un tono più calmo, una parola in meno, un ascolto in più.
Richiede la fatica di accogliere chi è diverso, di non escludere, di non stilare “liste” di chi è dentro e chi è fuori, giusto o sbagliato.
E soprattutto di non proclamare principi che poi si dimenticano appena non convengono più.
Evocare la pace guardando lontano è comodo.
Cercarla vicino, invece, ci obbliga a metterci in discussione.
Ma è proprio nei rapporti più prossimi tra vicini, colleghi, concittadini che si misura la sincerità con cui diciamo vogliamo la pace.
E allora, anche qui a Caselle, come in ogni altra comunità, la pace non si predica: si coltiva.
Nei toni delle discussioni pubbliche, nel rispetto delle differenze, nella capacità di ascoltare prima di giudicare.
Perché la pace non è un ideale da esibire nelle giornate commemorative:
è un modo di vivere la città ogni giorno.
P.S.
Questo non è un articolo contro le manifestazioni per la pace nel mondo. Anzi. È un invito a riflettere su come la pace, per essere autentica, debba partire dal basso, dai gesti quotidiani e dalle relazioni più vicine.
Perché in ogni grande conflitto c’è sempre, all’origine, l’idea di essere più forti, più giusti, più migliori degli altri, di prevalere sugli altri.
Ed è lo stesso meccanismo che, in piccolo, si ripete nelle nostre comunità.
Forse, se imparassimo a disinnescare questi conflitti minimi, le guerre più grandi non nascerebbero affatto.