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Un’altra voce della serata del 14 giugno: Piera Aiello

by Redazione Ticronometro

La serata del 14 giugno non è stata solo una celebrazione, ma un vero e proprio atto di memoria civile. Un momento in cui, accanto al premio consegnato a Mauro Esposito, si sono intrecciate storie e testimonianze capaci di scuotere, coinvolgere e far riflettere. Tra queste, una voce si è distinta per la forza e la verità che ha portato con sé: quella di Piera Aiello.

Chi è Piera Aiello

Nata a Partanna, in provincia di Trapani, nel 1967, Piera Aiello ha vissuto sulla propria pelle la violenza della mafia. A soli 18 anni fu costretta a sposare Nicola Atria, figlio del boss mafioso Vito Atria. Nove giorni dopo il matrimonio, il suocero fu assassinato. Nel 1991, anche il marito venne ucciso brutalmente, proprio davanti ai suoi occhi.

Fu allora che Piera compì una scelta che avrebbe segnato per sempre la sua vita: decise di denunciare. Iniziò così un percorso di collaborazione con la giustizia, insieme alla cognata Rita Atria, sostenute entrambe dal giudice Paolo Borsellino, che diventò per lei una figura fondamentale, quasi paterna.

Per 27 anni ha vissuto sotto protezione, con una nuova identità. Ma la sua voce non si è mai spenta. Nel 2018 è tornata a mostrarsi in pubblico, candidandosi alla Camera dei Deputati e diventando la prima parlamentare italiana con lo status di testimone di giustizia. Un simbolo vivente di coraggio, memoria e resistenza civile.

Le parole che restano

Riportiamo di seguito la trascrizione integrale del suo intervento a Caselle Torinese, il 14 giugno 2025. Lo facciamo consapevoli che una trascrizione non potrà mai restituire appieno la potenza della sua voce e della sua presenza. Ma riteniamo importante che ciò che è stato detto possa essere letto, riletto, condiviso.
Ci scusiamo per eventuali imperfezioni dovute alla trascrizione da audio.


Il discorso integrale di Piera Aiello


P. D. Piera Aiello è da anni fortemente impegnata, quotidianamente, sui fronti della legalità.

P. D. C’è un po’ di stanchezza, oppure si va avanti?
Diciamo che non ho più trent’anni, mi avvicino ai sessanta… però ho sempre lo stesso spirito combattivo.
Anzi: più anziana divento, più sono stanca, e più sono agguerrita.
Perché io credo fermamente in quello che faccio.

Molto spesso mia mamma — che tra l’altro stasera è qui presente con me, insieme a mia sorella, e per me è un grande onore — mi dice: “Ma chi te lo fa fare?”.
Perché spesso mi vede scoraggiata, arrabbiata… più che altro arrabbiata.

Ma io continuo a farlo perché ci credo.
Credo in quello che faccio.
Credo nei giovani, proprio come diceva Salvatore Borsellino.
Io vado nelle scuole e incontro ogni anno 10.000, 15.000 ragazzi. E non è facile.

Calcolate che, quando vado in giro, non sono pagata.
Perché non prendo soldi.
Uso le mie ferie — quelle che dovrei passare con la mia famiglia, con mia madre, con le mie sorelle, con i miei amici — le uso per andare nelle scuole a parlare con i giovani.

E poi volevo fare una cosa: volevo ringraziare Mauro.
Perché non c’è cosa più bella di come ha descritto noi, gli amici.
Noi qui siamo veramente amici, non per modo di dire.
Quando qualcuno ha un problema, ci ritroviamo, ne parliamo, ci confrontiamo.

L’Associazione “La Tazzina della Legalità” è stata un collante tra vari problemi:
che si tratti di ingiusta detenzione,
che si tratti di investimenti nella giustizia,
che si tratti di imprenditori vittime del racket.

Oggi qui in sala c’è Filippo Misuraca.
Pensate: ho seguito il suo caso per anni, ed è stato qualcosa di terrificante.

La prima cosa che volevo capire era: perché le banche abbandonano gli imprenditori?
E così, insieme a lui e ad altri imprenditori, sono andata nelle banche siciliane a fare un giro.
Sapete cosa mi dicevano?

Che quando un imprenditore denuncia, per loro è carne morta.
Come se fosse una persona finita.
E quindi cosa fanno?
Chiedono indietro i fidi, i soldi, quello che prima gli concedevano.

Sentirmelo dire da un direttore di banca mi faceva arrabbiare.
Mi faceva perdere la testa.

Ho seguito il caso di Filippo personalmente.
Sapete cosa ho scoperto?

Ogni imprenditore che denuncia, in prefettura trova un Comitato di Solidarietà.
Un comitato formato da avvocati e commercialisti che non prendono un euro.
Di conseguenza, si riuniscono quando hanno tempo.
Non lo fanno spesso.
Non lo fanno perché devono aiutare un imprenditore.

Queste relazioni del Comitato, che dovrebbero arrivare entro 90 giorni, non arrivano mai.
Arrivano dopo anni.
E spesso neanche leggono le carte.

Quando sono andata in prefettura insieme a Misuraca, ho parlato con un funzionario che, quando mi vedeva, pareva guardasse Satana.
E mi disse: “Onorevole, ma cosa vuole lei?”

“Io voglio sapere se ha trasmesso queste pratiche all’Antiracket di Roma.”
Lui disse: “Sì, le abbiamo mandate.”
Chiamo l’Antiracket di Roma e mi dicono che non hanno mai ricevuto i documenti del signor Misuraca.

Passavano mesi tra una risposta e l’altra.
Allora, una mattina, chiamo Roma:
“Avete ricevuto la documentazione?”
“No, non abbiamo ricevuto nulla.”
Chiamo Palermo: “Avete mandato i documenti?”
“Sì, li abbiamo mandati.”

Scusate, mettetevi d’accordo: chi sta dicendo la verità?

Ho fatto una relazione con nomi e cognomi dei funzionari che avevo consultato.
Alla fine si è scoperto che i documenti erano arrivati a Roma.
Ma il signor Misuraca risultava in carcere con il 41-bis.

Cosa che non è mai successa: lui non ha mai avuto un processo.
Anzi, andava a sistemare le caserme.
Il prefetto lo chiamava per fare demolizioni — quelle che nessuno voleva fare, perché erano case abusive.
La prefettura lo chiamava, e non poteva pagarlo perché non aveva il DURC.

Sette anni dopo, la sua azienda è stata fatta fallire.
E non gli hanno neanche detto il perché.

Solo dopo si è scoperto: risultava arrestato, ma non lo era.
E nonostante la cosa sia stata chiarita,
e nonostante la Prefettura di Palermo abbia scritto che c’è stato un errore,
ancora oggi risulta così.

Come si fa a credere nelle istituzioni?

Io, più che nelle istituzioni — come dicevo poco fa al parlamentare Crosetto —
essendo una ex deputata che ha appeso le scarpe al chiodo,
oggi non credo più nella destra, nella sinistra, nella prefettura…

Credo nelle persone.
Ci sono persone affidabili e persone che non lo sono.
Di destra, di sinistra, o rappresentanti dello Stato.

Ho trovato Antiracket che si sono girati dall’altra parte.
Prefetture che hanno fatto lo stesso.
A Catanzaro, inizialmente, facevano passare per pazzo un imprenditore che aveva denunciato la ‘ndrangheta.

Lo stavano facendo impazzire loro, perché non lo volevano ascoltare.

Siamo andati — io e la Tazzina della Libertà coi suoi legali —
a parlare col prefetto, dicendogli:
“Hai un problema: hai un imprenditore che ha denunciato, e non lo stai proteggendo.”

E quasi quasi guardavano male me.
Per poco mi mettevano sotto controllo il telefono.
Solo perché difendevo qualcuno.

Allora dico — e chiudo, così lascio spazio —
Io allo Stato devo tanto.
Il mio magistrato è stato Paolo Borsellino.

È stato lui che mi ha preso per mano, 33 anni fa,
e mi ha fatto iniziare questo percorso da testimone.
Senza obbligarmi.

La prima volta che mi vide Paolo Borsellino mi disse:
“So che tu sai tante cose.
Ma non voglio che tu parli subito.
Rifletti.
E se deciderai di non parlare, ti capisco: perché sei una bambina.
Ed hai anche una bambina di tre anni.”

Quel giudice, in quel momento,
mi ha fatto decidere.
Ma avevo già deciso.
Lì ho capito che era giusto.

Lui era un uomo dello Stato che mi ha accompagnata in quel percorso.
Anche dopo essere entrata nel programma di protezione.
Ho avuto la fortuna di ascoltarlo per quasi un anno.

Grazie a lui — io che non sapevo nemmeno parlare bene italiano —
ho studiato, mi sono diplomata, mi sono laureata a 53 anni.
E gli ho dedicato la laurea.

Mi diceva: “Leggi. Perché la conoscenza è la cosa più importante che abbiamo.”

Quindi ve lo dico anch’io: leggete.
Anche da grandi, anche alla nostra età, si può sempre imparare. Sempre.

Imparare sempre da chi ha dato la vita per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti.
Non dobbiamo mai dimenticarli.
Perché loro cammineranno sempre con le nostre gambe.

Grazie.


 

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