Ah, le serie TV sulla politica! quelle serie da me tanto preferite! Quell’intrigante miscela dove, francamente, la realtà riesce a far impallidire anche l’immaginazione dei più arditi sceneggiatori. Diciamolo apertamente: la politica reale è diventata così incredibilmente drammatica che “House of Cards” sembra ormai un quasi documentario. In questo curioso teatro del potere, alcune serie hanno brillato, offrendo un mix irresistibile di intelligenza, profondità e un pizzico di cinismo che ci fa pensare: “Eh sì, le cose potrebbero davvero andare così”.
Partiamo con “The West Wing” (1999-2006), dove Aaron Sorkin ci introduce a un’utopia politica talmente incantevole che trasforma i discorsi politici in vere e proprie coreografie verbali. La serie, incentrata sul Presidente degli Stati Uniti e il suo staff, ci propone una visione ideale (forse un tantino troppo ottimista) del funzionamento dell’esecutivo americano, dove ogni battuta risuona come scolpita nella pietra della saggezza politica.
Immergendoci in “House of Cards” (2013-2018), le cose diventano più serie. Frank Underwood, magistralmente interpretato da Kevin Spacey, ci introduce all’arte oscura del doppio gioco politico. E poi c’è Claire Underwood, la moglie bionda, che da ombrosa consigliera emerge come una formidabile figura di potere, ribaltando le convenzioni e afferrando il comando.
Il loro balletto di potere e manipolazione ci svela gli abissi oscuri della politica, dove non ci sono eroi, ma solo sopravvissuti.
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“Borgen” (2010-2022) ci porta nei corridoi gelidi della politica danese, dimostrandoci che è possibile salire al potere senza perdere l’anima, anche se il cammino è tutt’altro che lineare. Qui, la politica sembra quasi sensata, suggerendoci che, forse, in alcuni angoli del mondo, l’utopia politica non è così irraggiungibile.
“Veep” (2012-2019) ci riporta negli USA, Selina Meyer, interpretata da Julia Louis-Dreyfus, ci offre uno spaccato della politica tanto tragicomicamente incompetente da farci sperare sia solo finzione. Eppure, la serie cattura in modo preciso l’assurdità di alcuni aspetti della politica.
“The Crown” (2016-) ci immerge nella storia britannica, ricordandoci che dietro ogni grande decisione ci sono esseri umani con le loro paure, speranze e, sì, errori. Tra cerimonie e scandali, vediamo che il peso della corona comporta un incessante gioco politico.
E non possiamo dimenticare “Il Trono di Spade“, con l’argentea chioma di Daenerys Targaryen, perché, riflettendoci bene, cosa c’è di più politico di una lotta all’ultimo sangue per il potere supremo?
Ci ricorda che il potere è un gioco pericoloso, sia che si ambisca al Trono di Ferro o a un ruolo istituzionale.
Queste serie ci offrono una lente per esaminare le complessità del potere. Ci fanno ridere, riflettere e, a volte, desiderare un universo alternativo. Ma, soprattutto, ci ricordano che, nonostante tutto, la politica è profondamente umana – caotica, sì, ma affascinante. E chi sa? Forse un giorno la realtà politica prenderà spunto da queste narrazioni per diventare meno cinica e più avventurosa.
E infine un focus su una serie che sta facendo parlare di sé: “The Regime”, esclusiva di Sky.
“The Regime” si svolge in un contesto di riunificazione forzata, un’eloquente metafora per l’invasione e la conquista armata di un Paese precedentemente indipendente. La serie, con i suoi riferimenti puntuali alle ingerenze americane globali, non teme di affrontare tematiche scottanti e attuali, servendosi della satira per riflettere sulla politica e sui suoi paradossi.
Al centro della narrazione troviamo una Kate Winslet straordinaria nel ruolo della cancelliera Elena, la cui gestione del potere si manifesta in una serie di follie che hanno ripercussioni dapprima all’interno del palazzo e successivamente sull’intero popolo. La sua interpretazione, volutamente stonata in alcune scene, è un’astuta scelta artistica che enfatizza la vanità e l’egocentrismo del personaggio, incapace di amare sinceramente chiunque, inclusi il marito e il figlio adottivo Oscar.
La trama di “The Regime” intreccia abilmente momenti di umorismo cupo e feroce con acute osservazioni sulla realtà politica, offrendo allo spettatore interpretazioni memorabili e una narrazione ricca di riferimenti diretti al mondo reale.
La serie, tutt’altro che leggera, richiede allo spettatore un’immersione nel peculiare universo di Elena, risultando una visione imperdibile non solo per la qualità delle performance ma anche per il messaggio critico che trasmette.
Attraverso complotti, vendette e un uso sfrenato del potere, “The Regime” ci porta in un viaggio allucinante nel cuore di un Paese la cui economia si basa sulla barbabietola da zucchero, un prodotto che la sua leader detesta.
Questa avversione diventa simbolica della disconnessione tra i desideri personali della dittatrice e le reali necessità del suo popolo.
Non è una serie per tutti, no.
Perché per qualcuno entrare nel mood di Elena, fattore indispensabile per godersi al meglio lo spettacolo, non sarà certamente facile. Ma è anche una serie che tutti dovrebbero vedere, principalmente per due motivi.
Per il monito che lancia, sottolineando come lasciare agire indisturbati certi personaggi rischia di portare a catastrofi sociali e per le straordinarie interpretazioni che restituisce, dal primo all’ultimo attore coinvolto nel progetto, inclusa quella Martha Plimpton che la mia generazione ricorda da I Goonies oggi nei panni di una Senatrice degli Stati Uniti mandata a confrontarsi con Elena solo in quanto donna.
Perché, nel mondo folle costruito da una donna, sono comunque gli uomini a decretare che ogni donna sia folle in quanto tale. E in un disegno narrativo complesso come quello di The Regime, la conclusione ci dice che non è una questione di genere, è solo (ed è sempre stata) una questione di potere.